Sotto la cenere di Librino – la storia di Chiara

Chiara P. è una donna catanese di quasi cinquant’anni, madre di tre figli e residente nel quartiere Librino: un quartiere troppo spesso saltato alla cronaca per episodi di micro-criminalità e mafia, e a cui, purtroppo, nonostante il grande sforzo sociale della stragrande maggioranza dei suoi abitanti, rimane associato.
Grande immensa periferia, per alcuni un mondo a parte, Librino è un quartiere che si evita, gli stessi catanesi la evitano, così come si evita il quartiere Cordiale di Roma, lo Z.E.N. di Palermo, Quarto Oggiaro di Milano: periferie progettate secondo canoni di accoglienza e benessere, decentrati dal centro ma ricchi (sulla carta) di servizi.
La realtà però, è troppo spesso una macchia indelebile che resta a vita su tele di buona fattura; i piani regolatori vengono stravolti e di belle restano solo le storie di famiglie sedute attorno a tavola imbandite con tovaglie ricamate a mano.
Questa è la storia di un quartiere, di Chiara P. e della sua famiglia.

librino

Il quartiere Librino a Catania

Quando sono entrata a casa mia per la prima volta, nel 1992, io e mio marito eravamo ancora giovani: la mattina prendevo mia figlia in braccio, salutavo il mio amore guardando fuori dalla finestra e restavo lì, incantata, rapita da ciò che la vita ti spiega anno dopo anno. A Librino, non c’era granchè da guardare, a parte la campagna, il ronzio nel silenzio dei tralicci, i ragazzini che giocavano in strada; l’autolavaggio con il forte rumore dell’acqua sulle auto, la musica neomelodica ad alto volume: conforto e soluzione al frastuono degli aerei diretti a Fontanarossa.
Eravamo felici con poco, anzi con niente, questo ci ripetevamo la sera, stanchi, davanti un piatto di minestra.
Questa è stata la mia vita, la mia Catania per 30 anni: spirito di adattamento, normalità, al di là dei luoghi comuni che isolano ancora oggi un intero quartiere.

Spesso, mi pongo sempre la stessa domanda: chissà cosa sarebbe stato Librino se fosse stato completato il suo progetto originale, se anzichè isolarlo e lasciare tutto in balia del cemento e dei suoi 80.000 abitanti, ne avessero completato strade, ponti, spazi comuni; se ne avessero fatto un motivo di vanto per la mia amata città, anziché un sinonimo di sporco, brutto e cattivo.

La mia  famiglia

Quando è morto mio marito, nel 2009, quel piccolo mondo che mi ero costruita con dignità dentro quelle mura popolari, è crollato.
Mi sono ritrovata da sola a pagare le bollette, fare la spesa, stare dietro a figli da crescere e proteggere: consapevoli ma pur sempre esigenti. Presto, mi sono trovata a fare i conti con i soldi che non bastavano mai.
Non avevo idea di cosa fosse un bilancio familiare, e tutto mi appariva confuso.
Non ho studiato molto, ho conseguito vari attestati di corsi professionali, e anche se il datore di lavoro mi offrì da subito il posto lasciato vacante dal mio adorato marito, non mi sarei mai potuta permettere di lavorare per 8-12 ore al giorno senza l’aiuto del mio quartiere. Librino, in questo, mi ha aiutata: ho dei vicini di casa straordinari che ormai fanno parte della mia famiglia, ci sosteniamo e aiutiamo a vicenda in base agli impegni. Nessuno parla mai di quel briciolo di umanità che si nasconde nel bene di pochi, delle associazioni nate contro tutto e tutti, del coraggio di madri che hanno strappato i figli dalla strada a favore di meravigliose realtà dello sport.

Risparmiare per il futuro dei miei figli

Mio marito aveva un solo desiderio: vedere fuori dal quartiere le sue due principesse, ma soprattutto il suo unico figlio maschio. Ripeteva spesso, prima che il tumore lo segnasse, di voler andare via da Librino; di partire, risparmiare per andare fuori, tenendo alta l’attenzione per non diventare “malarazza” frequentando il peggio della realtà catanese. Ma si sbagliava.

Con il mio stipendio da impiegata, ho cercato di risparmiare il più possibile per i miei figli tagliando su tutto, cercando di creare rapporti di collaborazione con tantissima gente onesta, che si trovava nella mia stessa situazione: scambiando vestitini, cucinando in più per un vicino di casa, acquistando prodotti direttamente alla fonte attraverso gruppi di acquisto; dividendo i costi della connessione a internet (tutt’altro che illegale), e gli spostamenti in auto. Una mia carissima amica, residente in zona, è insegnante di lingue straniere: in cambio di qualche stirata ha dato lezioni di inglese ai miei figli, preparandoli per la maturità.
Adesso, la più grande delle mie figlie, ha vinto una borsa di studio per Londra e molto probabilmente proseguirà gli studi universitari in Inghilterra: suo padre sarebbe fiera di lei.

Tutto ciò è frutto di sacrifici economici e grandi aiuti di una piccola comunità dal cuore d’oro: dove la collaborazione, la voglia di riscatto e di legalità, è più forte di qualsiasi etichetta.

 

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