Ho perso il lavoro a 40 anni: e adesso?

Quella che racconta Lucia, è l’ennesima testimonianza di un popolo di disoccupati, spesso, e volutamente, dimenticati: gli over 40.

Lavoratori che hanno contribuito, nel pieno della loro giovinezza, al vigore di aziende milionarie, con stipendi part-time su cui sono state gettate le basi per una famiglia, contro tutto e tutti.

Una volta licenziati, oltre al dramma di arrivare a fine mese, i nuovi disoccupati devono fare i conti con leggi inadeguate, annunci di lavoro, limiti di età, che accentuano quella sensazione di inutilità e inadeguatezza lavorativa che ben conosce chi si ritrova senza un lavoro.

Maternità e lavoro

Per una giovane mamma di 40 anni come Lucia, perdere il lavoro significa spesso rinunciare ad ogni tipo di futuro impiego, entrare in un limbo in cui si diventa invisibili e ci si sente discriminati per scelte naturali come quella di avere un bambino:

“Ho lavorato per una grande azienda per 15 anni, avevo delle responsabilità, ero stimata, e non ho mai considerato, mio figlio, un problema. Anche se part-time, io e mio marito, riuscivamo ad organizzare ogni momento della giornata. I nostri stipendi ci garantivano il nido, l’affitto, la pizza il sabato sera. Dopo un lungo periodo di disoccupazione,  superata la vertigine del vuoto assoluto che ti rende schiava delle paure, ho fatto colloqui e trovato lavoro, ma facendo rapidi calcoli, con il nuovo stipendio non riuscivo a pagare il nido, mandare avanti la famiglia e pagare le bollette: meglio restare a casa.

Ricominciare non è semplice, oltre al problema economico, subentra quello psicologico: dopo anni di sana routine familiare e lavorativa, costruita su turni e sacrifici, dove il tempo gira tutto sommato con una certa sicurezza, mantenere una certa lucidità è difficile, molto difficile.

Perdere il lavoro a 40 anni, significa fare i conti con ansia e depressione, esclusione sociale e tanta, tantissima rabbia dentro.

Ricominciare a 40 anni

Ricominciare, mettendo da parte ansie, limitazioni, annunci e colloqui discriminanti, significa trovare la forza di rimettersi in gioco, ritrovare la fiducia in se stessi, evitando di cadere nella trappola di chi vuol far finta di niente:

“Non è il primo giorno che ti frega, nemmeno la prima settimana di non-lavoro: ma le mancate sveglie, e le corse per arrivare in ufficio; il silenzio che avvolge la casa quando torno a casa dopo aver lasciato mio figlio all’asilo, le ore e le giornate: lunghissime. Adesso, ho molto più tempo da dedicare a mio figlio, alla casa, ma ho anche una ferita aperta fatta di routine lavorativa che non c’è più: il caffè con i colleghi, il lavoro sempre uguale che a volte ho odiato e che adesso mi manca come l’aria, l’assurda convinzione di essere utile e indispensabile per la società. È tutto un processo mentale lo so, ma è molto difficile restare lucidi quando sei abituata a lavorare…”

Risollervarsi, senza mollare la presa, significa sconfiggere l’apatia e il rischio di ritrovarsi depressi già dopo un paio di settimane. I primi nemici da sconfiggere dunque, non sono gli incubi di un conto in banca sempre più esiguo, ma ciò che può minare la nostra stabilità emotiva.

Spesso, si comincia a cercare lavoro fin dal primo giorno di disoccupazione, ma che lo si voglia accettare o no, c’è bisogno di un momento di pace per ricostruire un mondo distrutto da una immensa bomba atomica sganciata con il licenziamento: ritrovare una routine che ci faccia stare bene e ci doni forza per superare nuove sfide umane e lavorative.

Come superare la perdita del lavoro

È bene sfruttare le finestre delle ultime tutele rimaste: Naspi, assegni di disoccupazione, parte della liquidazione, e altri strumenti a sostegno del reddito, ci consentono di ammortizzare il colpo: non pensate di finire sotto il ponte domani, ma anzi, fate in modo di mantenere alto l’umore, vi servirà per riprendere fiato e ripartire.
Iniziate mettendo in ordine tutto ciò che può servirvi per richiedere agevolazioni di qualsiasi tipo: bonus luce, gas, isee.
Se non l’avete mai fatto, iniziate a tenere in ordine anche il bilancio familiare.

Superati i primi giorni in cui, guardando mio figlio, provavo vera disperazione, ho cercato di reagire: avevo il doppio del tempo libero e per questo motivo non avevo più scuse per trascurarmi: ho iniziato a camminare, poi a correre, prima per un km, poi per due, tre, quattro… Ho iniziato a prendermi cura di me stessa e fare attività fisica, grazie ad essa ho ritrovato la giusta lucidità mentale.

Stancarsi, sfinirsi fisicamente per stare bene, riacquistare forza e lucidità mentale: l’attività fisica diventa fondamentale considerata la situazione di piena apatia in cui è possibile trovarsi.

Di certo il tempo non manca, riprendiamoci i nostri spazi, diamo valore alle nostre passioni:

Da ragazza amavo ricamare in compagnia della mia nonna materna, una passione che adesso inizia a darmi molte soddisfazioni: ho ripreso in occasione delle nozze di una mia carissima amica a cui ho realizzato una tovaglia ricamata a mano, quasi per gioco. Poi, con il tempo la voce si è sparsa e adesso, occasionalmente, realizzo ricami su misura, frequento corsi online per migliorare le tecniche. Le difficoltà economiche ci sono, gli ex-colleghi mi mancano, ma ho conosciuto nuova gente con cui ho instaurato nuove amicizie, e adesso mi sento un po’ meno sola e più propositiva. Una passione che è anche una metafora che ho fatto mia: un punto alla volta, passo dopo passo, verso un nuovo capitolo della mia vita.“.

 

Mai arrendersi o fermarsi, mai fermasi a pensare che è tutto perduto: siamo unici, ed è grazie alle nostre unicità che, a volte, come Lucia, è possile ritrovare la serenità.

Cadere e tornare su, un passo alla volta, senza paura.

 

Stai affrontando un periodo particolare simile a quello della protagonista di questa storia?
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